Mentoring: nelle imprese italiane una pratica moderna con radici millenarie

Mentoring: nelle imprese italiane una pratica moderna con radici millenarie

Mentoring: nelle imprese italiane una pratica moderna con radici millenarie

A cura di Matteo Vegetti,

l'intervista è stata pubblicata da Matteo Vegetti su Business Insider

https://it.businessinsider.com/il-mentoring-arriva-anche-nelle-imprese-italiane-due-guru-italiani-spiegano-questa-pratica-con-radici-millenarie-chi-si-ricorda-mentore/

 

Matteo Vegetti

Il mentoring sta entrando oggi in un numero crescente di imprese sotto forma di  sistema organizzato che agevola e ottimizza svariati ambiti, dal recruitment all’integrazione dei neoassunti, dall’aiuto ai singoli dipendenti in difficoltà al supporto all’intero organico in occasione di grandi cambiamenti come una fusione.

Business Insider Italia ha parlato con due figure di riferimento per questa disciplina nel nostro Paese, Marco Laganà e Matteo Perchiazzi; hanno curato l’edizione italiana del testo di riferimento sul mentoring, A ciascuno il suo mentor di David Clutterbuck, alla quinta edizione in lingua inglese e appena pubblicato in Italia da FrancoAngeli, A ciascuno il suo mentor di David Clutterbuck, alla quinta edizione negli US e appena pubblicato in Italia da FrancoAngeli, a ulteriore dimostrazione dell’interesse per l’argomento). Nell’intervista che segue i due esperti spiegano che cos’è il mentoring, quali benefici può dare al management e ai dipendenti di un’impresa e come viene accolto nelle aziende italiane, oltre a descrivere due casi nostrani di successo.

 

Partiamo dall’abc: che cos’è il mentoring?

Perchiazzi: Prima ancora di essere una metodologia strutturata e formalizzata, il mentoring è la forma più antica di trasmissione della conoscenza da un senior a un junior in tutti i settori della vita (lavoro, scuola, gioco...). Per fare un esempio calcistico, il mentor è il bomber storico che affianca il giovane attaccante appena reclutato in una grossa squadra di calcio aiutandolo a capire se potrà mai diventare bomber a sua volta — è un po’ il Totti della situazione, insomma (Totti sarebbe senzaltro un ottimo mentor).

In questa relazione a due il mentor realizza il proprio desiderio di trasmissione, o anche di immortalità, se vogliamo definirlo ìil desiderio di lasciare traccia della propria esperienza e professionalità. A sua volta il mentee, cioè la persona supportata, si avvale della più antica modalità di apprendimento e integrazione. Tutti noi per esempio, quando entriamo in un’azienda o un’organizzazione in genere, osserviamo gli altri e cerchiamo di capire come si comportano, se una determinata cosa è “in” o “out”; assimiliamo i comportamenti non detti per essere accettati e per integrarci.

Laganà: Rispetto ai rapporti spontanei, la pratica formalizzata apporta un “plus” associato ai passi che vengono compiuti prima di avviare la relazione one-to-one, come la formazione dei mentor e la fase di definizione degli obiettivi, e dalle successive attività di affiancamento, valutazione e riconduzione ai suddetti obiettivi.

 

Alcuni confondono mentoring e coaching: quali sono le differenze tra le due cose?

Perchiazzi: Il mentoring è una forma di coaching con laggiunta di un sapere specifico di cui il mentor è portatore, oltre a fungere da modello di riferimento.

È anche per questo che il mentoring è più complesso da proporre e più impegnativo da realizzare. La necessità di competenze specifiche fa sì che i mentor siano prevalentemente figure interne, che vanno formate a svolgere questo nuovo ruolo e successivamente seguite, valutate e riorientate. È un sistema complesso di apprendimento organizzativo rispetto a cui è innegabilmente più comodo e veloce assoldare consulenti esterni come coach.

Tuttavia, queste complessità danno i loro frutti sul piano dei risultati. Dal punto di vista dell’apprendimento, del senso di appartenenza e della comunicazione interna il mentoring ha un impatto molto più ampio rispetto al coaching. Far capire questo alle aziende è più complicato, soprattutto in vista dell’investimento iniziale richiesto e anche del tempo che dev’essere messo a disposizione dai target group interni, ma con il senno di poi non ci sono paragoni.

Laganà: Forse il fatto che il coaching sia diffuso nelle aziende da più tempo ha consentito anche di riscontrarne i limiti e i costi, così come di verificare che non tutti offrono un servizio adeguato a fronte di quei costi. Con il mentoring c’è un investimento iniziale che viene ripagato nel medio-lungo termine, consentendo un change management e una business transformation con una base ben più ampia.

 

Quali benefici può ottenere un professionista dal rapporto con un mentor?

Laganà: Una persona che è appena entrata in azienda o ha appena cambiato ruolo, per esempio, può capire molto più facilmente il modo opportuno per svolgere al meglio il proprio ruolo. Chi  affianca aiuta a rendersi conto del contesto, eventualmente può presentarle altre persone e nel complesso facilita la sua integrazione nell’organizzazione, gestendo l’impatto dell’assunzione del nuovo ruolo.

Un caso analogo è quello di una donna che rientra in azienda dopo la maternità. Ma in generale tutte le situazioni in cui c’è un cambiamento di ruolo, di posizione o di attività vengono facilitate ed accelerate ( senza parlare solo di formazione, ma della consapevolezza riguardo a competenze e conoscenze del contesto che nessun formatore normalmente offre).

Altri casi di applicazione sono quelli in cui la persona, per qualunque motivo, vive un momento di difficoltà rispetto allo svolgimento del proprio ruolo.

 

E dal punto di vista del management, qual è il business case a favore dellintroduzione di un programma di mentoring in azienda?

Laganà: Per le ragioni di cui sopra, il mentoring comporta un enorme risparmio di tempo e di costi per l’impresa. Da un lato è un acceleratore di competenze, dall’altro favorisce la retention, aiuta cioè a trattenere le persone di talento a prescindere dalle difficoltà che incontrano.

Perchiazzi: Oltre a quelle già citate, altre aree in cui il mentoring dà risultati efficaci e quantificabili alle imprese comprendono la trasmissione della vision, della mission e dei valori dellimpresa e la valorizzazione delle competenze interne.

Un altro beneficio è il tempo risparmiato sia dal mentee, sia dallimpresa nel rispetto alla domanda: chi sei e chi vuoi diventare? A volte ci sono persone con ottime competenze tecniche, che però fanno fatica a integrarsi; magari il problema è che non capiscono dove stia andando l’azienda, perché questa non glielo sa spiegare. Così a volte persone di talento finiscono per andarsene, mentre se avessero avuto un mentor non avrebbero avuto questo problema.

 

Qual è il rapporto fra mentoring e psicologia?

Laganà: Fondamentalmente, nell’immaginario collettivo, quando uno pensa alla psicologia pensa a una patologia. Se un bravo mentor rileva una patologia in una persona, si astiene dall’intervenire e la manda subito dallo psicologo, che è molto più competente di noi.

Una differenza sostanziale è che lo psicologo si concentra soprattutto sul passato, sulla storia dell’individuo, la sua evoluzione, magari partendo da quand’era piccolo per poi liberarlo dal punto in cui era rimasto bloccato e permettergli di avere un futuro felice. Il mentor invece non guarda al passato, ma si concentra sul presente per costruire il futuro.

 

Quali atteggiamenti riscontrate nelle imprese italiane verso questo lavoro sullemotività, seppure in questa versione light”?

Perchiazzi: Quando si parla di un’emozione che deriva da stati d’animo specifici, per esempio un professionista arrabbiato perché non ottiene una promozione,  il mentor riesce a gestire questo stato aiutandolo a capire il suo stato d’animo. Un tipo di emozione ben diverso può derivare invece da atti di mobbing da parte dei superiori, che il mentor scopre nell’ambito del suo intervento, oppure da molestie sessuali di un superiore nei confronti di una sua collaboratrice.

Un mentor non agisce sui motivi, ma aiuta la persona a gestire le emozioni che emergono in determinate situazioni: in casi come questi ultimi citati è chiaro che si entra in contesti delicati e le aziende non sempre sono preparate per farlo. È in questi casi che possono sorgere delle resistenze. Le aziende dovrebbero essere consapevoli della possibilità che emergano problemi di questo tipo, che eventualmente verranno affrontati mediante un apposito meccanismo di gestione.

Lo stesso vale per i problemi di accettazione delle minoranze, su cui si lavora con il cosiddetto “mentoring per le diversità”

 

Potete citare un caso di successo di applicazione del mentoring nel nostro Paese?

Perchiazzi: In un progetto particolarmente riuscito in Italia, il mentoring è stato impiegato a fini di talent management nel settore del turismo a partire dal 2017. Human Company, azienda in forte crescita la cui sede principale si trova a Firenze, sapeva di dover formare in poco tempo una decina di futuri direttori di campeggi, effettuando il recruitment dall’interno. Nel frattempo ha anche cambiato denominazione, e grazie al mentoring ha potuto salvaguardare la continuità della sua cultura e dei suoi valori, trasmettendoli al futuro top management.

Grazie ai 117 incontri one-to-one tenuti dalle 14 coppie di mentoring, i risultati sono stati eccellenti sia dal punto di vista qualitativo (trasparenza, fiducia, empatia, superamento delle gerarchie...), sia da quello quantitativo (i mentee hanno approfondito la conoscenza dei valori aziendali e la consapevolezza delle proprie competenze, inoltre hanno riscontrato una maggiore soddisfazione e motivazione al lavoro, cosa che è stata segnalata anche dai mentor).

Il mentoring si è rivelato molto efficace nell’incrementare considerevolmente la consapevolezza dei “perché aziendali”, cioè del complesso di motivazioni e obiettivi dell’impresa.