Cosa è il Mentoring le basi

Cosa è il Mentoring le basi

Cosa è il Mentoring le basi [1]

A cura di Matteo Perchiazzi, SIM – Scuola Italiana di Mentoring

 

Il Mentoring è la forma più antica di trasmissione di regole per quanto riguarda attività sociali, sportive, il linguaggio, modelli di comportamento in un determinato contesto organizzativo.

Prima ancora che parlare di Mentoring nella modalità organizzata e formale come metodologia codificata, il Mentoring affonda le radici nei processi naturali di socializzazione.

In tanti, autori e consulenti, definiscono il Mentoring come una disciplina di origine anglosassone, mentre la sua origine si forma in un contesto che non ha precise localizzazioni essendo parte stessa della e nella società in generale. Affonda le sue radici nella vita di tutti i giorni, in ogni contesto laddove si vuole facilitare con l’esperienza già maturata il processo di formazione dell’individuo.

 

Cosa apprende un Mentore da un programma di Mentoring?

Apprende e ha possibilità di lasciare traccia nella storia, di avere un posto per far germogliare la propria esperienza.

Il Mentoring affonda le sue radici nel modo più naturale dell’apprendimento.

Guardando gli altri, i modelli, impariamo sin dall’infanzia.

Ricordiamoci per esempio cosa succede quando frequentiamo anche la scuola: si guarda il compagno più integrato, al lavoro quello un po’ più bravo, e skillato… il Mentoring è questo. Prima ancora che una metodologia codificata, è una metodologia di apprendimento che affonda le sue origini sui processi naturali di socializzazione.

Le Abilità, ovvero “lo skill”, che si impara scrutando  ”il fare” di chi emerge nelle attività, come nello sport e come nello studio, perché da qui si impara “copiando” chi più bravo a giocare a pallone e chi più ottiene risultati migliori nello studio.

“Copiare” o imitare, cioè, chi è più “skillato”, parola nuova nel linguaggio corrente che sintetizza il modello del Mentoring.

 

Che differenza c'è tra Mentoring e Coaching?

Questa è una delle domande classiche. Ci sono tante definizioni e approcci.

Il Coach è un individuo che gestisce un processo di aiuto all’apprendimento su condizioni specifiche su tempi a breve scadenza che servono a impostare un metodo di comportamento.

E’ l’istruttore di un’attività fisica e attitudinale che accompagna l’allievo al risultato, che educa nello sport ma anche ad una attività manuale per apprendere per esempio un’attività professionale.

Il Mentore invece è colui che è chiamato a trasmettere la propria esperienza.

Dal punto di vista psicopedagogico, e l’effetto è sostanziale.

Tante competenze nella gestione del processo di apprendimento sono in comune, ma cambia l’impatto iniziale.

Usando un esempio concreto,  un coach di tennis potrebbe essere essere un Coach di un altro giocatore di tennis, e potrebbe essere stato un atleta di successo, ma non può esserne il Mentore se non è mai stato un atleta professionista.

Un’altra classica distinzione è che il Mentoring intende rispondere alla domanda “Chi voglio diventare”, mentre il Coaching lavora su “Quali sono i miei obiettivi”!

 

Perché un'organizzazione dovrebbe investire in un programma di Mentoring?

Perché le risorse interne di un’organizzazione le conosce al meglio solo l’organizzazione stessa.

Il Mentoring è un modo per mettere a sistema le competenze, le eccellenze, le storie lavorative della conduzione dirigenziale di un’azienda, dal livello dei quadri funzionali medi a quelli direttivi, per metterle al servizio della crescita delle nuove leve sulle quali si vuol far crescere l’azienda nel processo produttivo e relazionale dell’azienda stessa.

Ossia, il Mentoring mette  “a sistema” le eccellenze di un’organizzazione, ne plasma la struttura operativa.

 

Quali sono i miti da sfatare in tema di Mentoring?

Normalmente quando si associa la parola Mentor, si pensa a un guru che risolve ogni cosa nella vita, quindi si pensa a Yoda per esempio, il personaggio fantastico di “Guerre Stellari”, ovvero si pensa a Mago Merlino, alle figure del mito storico o fiabesco che tutto risolvono.

Nel Mentoring, non esiste “il Mago”, perché il Mentore è la persona che “guida” attraverso le proprie esperienze, che riesce a trasmettere la propria storia come modello positivo, anche se non è un guru. E nei programmi di Mentoring formalizzato è assolutamente necessario che i Mentori vengano formati, altrimenti non si può parlare di Mentoring come metodologia sistematica e professionale.

Anche il Mentore va addestrato in un programma specifico!

 

Quali sono le competenze di un Mentore?

Ci sono molti approcci, molte classificazioni.

Le competenze chiave di un mentore sono quelle che hanno a che fare con la capacità della trasmissione della propria esperienza: lo storytelling è una delle più affascinanti, più interessanti da apprendere, nell’accezione in cui si evitano cloni di esperienze altrui.

La gestione dell’esempio positivo è una delle caratteristiche più belle dei percorsi di Mentoring, anche nella formazione.

Qual è la responsabilità che un mentor ha nei confronti di un mentee? Ci sono esercizi, in questo senso, che vanno nel profondo e che scavano sul come gestire l’esempio che viene portato a testimonianza.

Quali i valori e come possono essere messi al servizio dello sviluppo di chi opera nello stesso percorso e come trasmetterlo agli altri?

Ne consegue che è assolutamente centrale l’intelligenza emotiva, cioè la capacità di apprendimento attraverso le emozioni. Spesso, quando se ne parla, si intende l’aiuto a capire le emozioni dell’altro (che è tipico del Coaching). Nel Mentoring, invece, si parla di apprendimento anche attraverso le emozioni, cosa che invece in altri approcci è assolutamente vietato come nello storytelling (ovvero: riproduzione cartacea e/o diffusione telematica relative a programmi e direttive di un determinato progetto divulgativo, del tipo elettorale, disciplinare, programma interaziendale di sviluppo, etc.).

 

Quale etica nella gestione e nel fine dell’apprendimento nel processo cognitivo che il Mentoring adotta?

L’argomento che fonda il percorso del Mentoring dovrà trattare l’esempio positivo del programma che intende realizzare, per evitare che l’allievo, o pupil, o Mentee si dissuada dal continuare il proprio percorso di apprendimento.

Ecco che la gestione dell’esempio deve avvicinare il Mentee, deve fornire soluzioni e ispirazione.

Ce ne sono molte altre importanti nel mentoring che deve gestire il mondo professionale: capacità di “goal setting”, ovvero la capacità di attrazione degli obiettivi da sviluppare attraverso una ”action planning”, ovvero una programmazione comprensibile e certa negli indirizzi da percorrere, poi c’è il “questioning” ovvero la capacità di fare domande potenti e la capacità di “sounding board”, ovvero di essere un banco di prova per il Mentee.

Ma ogni fase del Mentoring deve avere la capacità di sviluppare uno stimolo per la riflessione che in gergo è definita “PRS - Personal Reflective Space”.

 

Chi è in genere il soggetto che richiede il Mentoring?

Una qualsiasi struttura a livello aziendale, che sviluppa produzioni industriali di piccola, media e grande dimensione, che ha bisogno di formare le proprie strutture dell’organizzazione aziendale a tutti i livelli, dalle prestazioni amministrative e funzionali per il personale a quelle di specifica attività di produzione.

Può essere anche un’ Istituzione, che deve aggiornare e sviluppare i propri quadri secondo le esigenze dello sviluppo delle prestazioni del personale. Un programma di Mentoring si può rivolgere  anche al settore della dirigenza, sia nelle mansioni tecniche sia in quelle amministrative richieste per il personale che si interfacciano continuamente all’interno della struttura e verso il sociale per la funzione pubblica che rappresenta.

Aspetto particolare è quello delle Istituzioni Militari e della Sicurezza, che richiedono una attenzione particolare, per l’ambito che rappresentano, ma nello stesso costituiscono un riferimento sintomatico estremamente chiaro in quanto l’organigramma delle gerarchie, assolutamente verticali, per il loro impiego operativo e di formazione sono sempre più interconnesse nell’ essere “insieme” per un rendimento efficiente secondo “le modalità d’ingaggio” che, istituzionalmente, sono chiamate a rispettare.

 

Come si scelgono il Mentore e il Mentee?

Il Mentor e il Mentee si scelgono tra loro dopo una verifica dei programmi che il Mentoring organizza e un confronto secondo il modello “faccia a faccia”, che genera una selezione naturale che apre allo scambio relazionale diretto. In parole semplici Mentore e Mentee si scelgono reciprocamente nel confronto che si instaura al momento dell’accesso al programma organizzato dal Mentoring secondo le esigenze dell’ambito formativo e di apprendimento richiesto dal soggetto promotore.

Criteri oggettivi, quindi, che sollecitano i presupposti su cui i due devono essere “abbinati”.

Altre caratteristiche naturali favoriscono il loro accordo operativo nel processo di Mentoring e riguardano le assonanze sensoriali umane come la simpatia, l’attitudine al sentirsi solidale verso il prossimo e, non ultimo, le predisposizioni personali che a livello sensoriale costituiscono le pre-competenze necessarie a costituire insieme, Mentore e Mentee, una cellula autonoma sì, ma integrati nel più vasto programma-Mentoring di apprendimento.

Scivolando, in una espressione che non è vuota metafora, nell’alea “socratica” del rapporto fra un “Maestro” e un “discepolo” quale riferimento imprescindibile per interpretare l’aspetto dei valori predetti che si intende instaurare.

 

 

[1] Il presente documento è soggetto a copertura dei diritti del marchio SIM, marchio depositato e registrato attraverso la SIB (Società Italiana Brevetti).